“Noi ci allegrammo, e tosto tornò in pianto; ché de la nova terra un turbo nacque e percosse del legno il primo canto.
Tre volte il fé girar con tutte l’acque; a la quarta levar la poppa in suso e la prora ire in giù, com’altrui piacque,
infin che ’l mar fu sovra noi richiuso”. Dante, Inferno XXIII
C’è una nave alla fonda nel porto di San Lorenzo. Le vele strappate, il motore in avaria. Arrugginita, sbiancata assalita dalle alghe.
C’è un’onda che monta da lontano, piccola, come valanga ingloba le altre e si fa più grossa più che s’avvicina.
C’è la necessità che quella barca vecchia, usata per usi che non s’usano più, affondi; che si possa ricostruire una barca nuova piccola ma adatta all’uso necessario di questo tempo nuovo.
Non un corvo mortifero ma un poetico albatro la sorvola, la studia, si lascia ammaliare dalla falla in cui si riflette, ma più vicino che si fa, piu vede che quell’acqua è putrida e senza pesce.
La barca barcolla al primo arrivo delle prime piccole onde, l’albatro risale e da lontano, da sotto le lamiere rugginose piccole vele bianche escono, non possono navigare lontano, ma possono prendere gli schiocchi nuovi del vento e farsi portare portando vento nuovo.
“Le vele le vele le vele
Che schioccano e frustano al vento Che gonfia di vane sequele Le vele le vele le vele! 5 Che tesson e tesson: lamento Volubil che l’onda che ammorza Ne l’onda volubile smorza…
Ne l’ultimo schianto crudele… Le vele le vele le vele “ Campana. Le barche amorrate
Vittorio Marrucci
Massimo Tordini